La Nuova Normativa sull'Erboristeria

Il primo maggio 2011 entrerà in vigore la Direttiva 2004/24/CE riguardante i cosiddetti Medicinali Vegetali Tradizionali, in Italia recepita con il Decreto Legislativo 219/2006.

La norma, che tra le altre cose prevede una registrazione semplificata per i medicinali a base di erbe che vantino un uso tradizionale almeno trentennale nella CE, entrerà dunque definitivamente in vigore dopo 7 anni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea avvenuta il 30 Aprile 2004, come stabilisce l’articolo 2, comma 2 della direttiva stessa.  
Una data che ha scatenato un grande timore nel mondo erboristico. I mass media, infatti, internet in primis, qualche mese fa avevano lanciato l’allarme:“l’entrata in vigore della nuova norma avrà ricadute devastanti sul settore erboristico e impedirà agli erboristi di vendere erbe e infusi”, cioè proprio i prodotti tradizionalmente trattati nelle erboristerie.
Ma accadrà davvero questo il prossimo maggio? Lo abbiamo chiesto a un funzionario
del Ministero della Salute e agli esperti del comparto che, spiegando i termini della questione, quasi unanimemente rassicurano gli erboristi.

Una preoccupazione ingiustificata
Possono strare tranquilli gli erboristi. A sostenerlo è Marco Valussi, fitoterapeuta, membro dell’European Herbal and Traditional Medicine Practitioners Association, l’associazione europea che riunisce i fitoterapeuti tradizionali. “La direttiva europea 24/2004, che in Italia entrerà in vigore il prossimo 1° maggio”, spiega Valussi, “riguarda quei prodotti a base di piante, di estratti o derivati vegetali che vorranno essere registrati come medicinali. Un ambito che non ha nulla a che vedere con il classico taglio tisana che l’erborista vende e
miscela nel suo negozio. I prodotti erboristici non ricadono assolutamente in questa normativa”. Va ricordato, infatti, spiega Valussi, che la legislazione italiana ed europea prevede iter autorizzativi differenti per le diverse tipologie di prodotto realizzate anche con la medesima pianta. “Se si confeziona un prodotto a base di camomilla, ad esempio”, spiega Valussi, “dicendo che il preparato ha proprietà antinfiammatorie, usando dunque
un claim farmacologico, questo prodotto dovrà essere classificato come farmaco e seguire una trafila per la registrazione, lunga e costosa. Diverso è il caso della semplice camomilla, un alimento che può e potrà anche in futuro essere venduto senza alcun problema”.
L’European Herbal and Traditional Medicine Practitioners Association ha seguito tutte le fasi delle direttiva 24/2004, fa sapere Valussi, condividendone alcuni aspetti,
come quello della maggior sicurezza che questo provvedimento garantirà ai cittadini, criticandone però altri. “Il vero limite di questa norma”, dice Valussi, “riguarda le piante extra-europee per le quali non è ammessa la procedura speciale, un iter autorizzativo semplificato. Una scelta che non può essere condivisa in linea di principio, visto che tra queste piante ce ne sono alcune di cui in effetti si ha poca conoscenza, ma altre per le quali si hanno dati e letteratura sufficienti a comprovarne le qualità e la sicurezza”. A parte questo, è positivo il giudizio di Valussi sulla direttiva europea che entrerà in vigore il prossimo maggio. “Non vedo altri problemi”, dice, “anche la remota possibilità che nel tempo, per ragioni di convenienza economiche, alcuni dei prodotti oggi venduti in erbori-
steria potranno cambiare status e divenire farmaci, ovviamente solo se ne avranno
le caratteristiche, non dovrebbe rappresentare un grosso rischio per il settore erboristico, semmai per le aziende produttrici di estratti vegetali, ma sarà comunque un vantaggio per i cittadini e per gli erboristi che potranno sempre fregiarsi di una legislazione capace di proteggere i consumatori e di distinguere in modo chiaro e inequivocabile lo status di farmaco o alimento dei prodotti a base di erbe”.

Le ricadute della norma sulle aziende
Secondo Germano Scarpa, presidente di Federsalus, la direttiva europea 24/2004 non
avrà alcun impatto nel settore. “Occorre anzitutto ricordare che la direttiva in oggetto”, spiega Scarpa, riguarda esclusivamente i farmaci vegetali tradizionali e non gli integratori alimentari che, per legge, sono e restano alimenti. Proprio per questa ragione non sono ipotizzabili ricadute immediate o dirette dell’applicazione della norma europea sulle erboristerie le quali commercializzano alimenti e non farmaci”.
Le medesime considerazioni Scarpa le estende anche al mondo delle aziende. “Distinti rigorosamente per legge i due tipi di prodotti”, dice Scarpa, “ciascuna azienda potrà proseguire o diversificare il proprio business in una cornice regolatoria chiara e sicura. Ogni operatore sarà dunque nelle condizioni di scegliere per tempo le “regole del gioco” e lavorare di conseguenza”. Sì, ma quali sono i punti di forza della direttiva n.24/2004 e quali, eventualmente, i limiti a cui si potrà e dovrà porre rimedio in futuro? “Un punto di notevole forza e interesse della direttiva 2004/24”, dice il presidente di Federsalus, “è certamente il riferimento alla tradizioni d’uso quale criterio per legittimare l’efficacia, a certe condizioni, dei farmaci vegetali. Proprio il criterio dell’uso tradizionale crediamo che possa essere mutuato nel nostro settore (peraltro ricordiamo che lo stesso criterio è già applicato nella legislazione alimentare, ad esempio nei novel food) per provare la fondatezza, in
un contesto evidentemente scientifico, delle rivendicazioni salutiste (health claims).
Sarebbe infatti una grossa contraddizione logica assumere la tradizione d’uso come
parametro per provare l’efficacia dei farmaci tradizionali, secondo quanto disposto dalla direttiva 2004/24, e al tempo stesso ritenerlo un criterio inutile e non scientifico per supportare un’indicazione salutista di una sostanza a uso alimentare”. Di parere un po’ diverso è invece Valentino Mercati, presidente di Assoerbe. “Al momento è difficile prevedere quale ricaduta avrà questa Direttiva”, dice, “in quanto la declamata priorità che attribuisce al settore farmaco, è un’ipotesi che se fosse applicata metterebbe a rischio la sopravvivenza del settore erboristico. La stessa visione è da applicare alle aziende produttive: la direttiva, a mio parere, se vista sotto l’aspetto dei prodotti erboristici è totalmente negativa”.

È nella destinazione d’uso la soluzione al problema
“Chi ha lanciato l’allarme via Internet”, dice Giorgio Giorgini di CNA Erbe, “non si è ben documentato e ha dimostrato di avere una conoscenza superficiale della situazione e delle normative, norme delle quali peraltro siamo a conoscenza da molti anni e sulle quali manteniamo da sempre un presidio attento e rigoroso”. La Direttiva 2004/24/CE, recepita
in Italia con il DLgs 219-2006, ricorda Giorgini, fissa a maggio 2011, cioè dopo 7 anni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea avvenuta il 30 Aprile 2004, una scadenza che fa riferimento all’art. 2 comma 2 della direttiva sopraccitata 2004/24/CE del 31 marzo
2004, che così recita: “ai medicinali vegetali tradizionali di cui all’articolo 1, già in commercio al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva, le autorità competenti applicano le disposizioni della presente direttiva entro i primi sette anni dalla sua entrata in
vigore”. In pratica gli Stati membri, spiega Giorgini, dovendo rendere operativa la direttiva entro il 2011, attraverso l’Agenzia Europea del Farmaco EMA (European Medicines Agency), per il tramite della Commissione europea, dovranno definire un elenco di piante e sostanze vegetali atte a essere inserite nei “medicinali vegetali tradizionali” e conformare i medicinali vegetali tradizionali già presenti in commercio ai parametri stabiliti dalla Direttiva stessa. “Questo però non significa che necessariamente certe piante non potranno essere utilizzate in altri ambiti con modalità e caratteristiche diverse”, dice Giorgini, “del resto la direttiva disciplina il farmaco ovvero la pianta o l’estratto utilizzato come tale e quindi con rivendicazioni di tipo terapeutico. Se la stessa pianta viene utilizzata per scopi diversi da quelli medicinali, perché rientrante in normative specifiche,
come appunto quelle alimentari, è un problema che non riguarda la direttiva 2004/24/CE”.
La Direttiva comunitaria 2004/24/CE (recepita con il D.L.vo 24 Aprile 2006 n. 219), infatti, sottolinea l’esponente di CNA Erbe, ha istituito il Medicinale Vegetale Tradizionale “Herbal Traditional Products”, mentre la Direttiva comunitaria 2002/46/CE (recepita con il D.lgs
21 Maggio 2004 n. 169), l’integratore alimentare a base di estratti vegetali, assegnando a quest’ultimo una funzione ben precisa, nel coadiuvare le funzioni fisiologiche  nell’organismo. “Tanto è vero che la Corte di Giustizia Europea”, fa sapere Giorgini, “ha emanato sentenze a noi favorevoli sanzionando la Germania che aveva impedito,  considerandoli farmaci, la commercializzazione di integratori alimentari a base di Aglio e
Senna. Nulla, infatti, vieta che possano coesistere in commercio più preparati a base della medesima pianta, con destinazioni d’uso diverse (medicinale – medicinale vegetale tradizionale – integratore alimentare – normale alimento). Gli esempi in tal senso sono molteplici: uno per tutti che può rendere bene l’idea è il caffè e/o il suo principio attivo, la caffeina, del quale esistono in commercio farmaci – integratori – normali alimenti – liquori - gelati ecc…”. “Le nostre piante possono crescere felici”, gli fa eco Mauro Cornioli di Confartigianato, “ è la destinazione d’uso il vero elemento discriminante tra alimento,
integratore e farmaco”. “ La destinazione d’uso - sottolinea Cornioli - dipende da come è presentato il prodotto: se è presentato come avente proprietà curative delle malattie umane è farmaco, se è presentato come coadiuvante delle funzioni fisiologiche dell’organismo, è integratore alimentare. Di strada come settore ne abbiamo fatta tanta: sicuramente molta altra ne dobbiamo fare”.

Rassicurazioni anche dal Ministero della Salute
A farle è Bruno Scarpa, dirigente dell’Ufficio IV della Direzione Generale Sicurezza
Alimenti e Nutrizione del Ministero della Salute. “La Direttiva 24/2004”, ribadisce Scarpa, “riguarda i farmaci vegetali tradizionali e non gli integratori alimentari. Sono due ambiti ben distinti, regolamentati in modo differente”. Dunque, fa capire Scarpa, il primo maggio
2011 per gli integratori alimentari a base di piante e derivati non cambierà nulla rispetto alla situazione attuale.
Da dove è scaturita dunque la preoccupazione degli erboristi? “Ritengo da un’errata interpretazione della norma sui farmaci vegetali tradizionali”, dice Scarpa che ricorda come in Italia si stia comunque lavorando al fine di armonizzare le norme che regolano rispettivamente il settore farmaceutico e quello alimentare, in una realtà comunitaria dove vi sono diverse situazioni borderline.
“Emblematico è il caso della melatonina”, fa rilevare Scarpa, “in Italia sono da tempo ammessi apporti della sostanza fino a 5 mg negli integratori per favorire l’adattamento alle variazioni di fuso orario (peraltro convalidato anche dall’EFSA come claim), mentre in Europa è stata rilasciata un’autorizzazione come farmaco a un prodotto con dose giornaliera di 3 mg”. Si deve comunque considerare, come fatto nuovo e positivo, dice Scarpa, che la Commissione Europea ha annunciato di voler rivedere l’approccio valutativo sui claims per i botanicals negli integratori, valutando anche l’opportunità di considerare come prova l’uso tradizionale, al pari di quanto è stato ammesso nel settore
dei medicinali vegetali tradizionali.
Questo, sottolinea Scarpa, per introdurre degli elementi di riequilibrio a una posizione evidentemente sproporzionata volta a richiedere prove ad hoc di efficacia solo a supporto dei claims degli integratori e non dell’attività terapeutica dei predetti medicinali.
“Per queste ragioni” conclude Scarpa, “abbiamo ritirato il decreto ministeriale sugli integratori alimentari notificato qualche mese alla Commissione Europea, per rivederlo alla luce della nuova situazione che si va delineando”. Ci vorrà ancora tempo, dunque, per capire se e come cambierà il settore. Di certo c’è solo un fatto: il primo maggio 2011, con l’entrata in vigore della Direttiva 24/2004, per gli erboristi resterà tutto come prima.

Attenti, ma non preoccupati

Il parere sulla direttiva europea 24/2004 di Mauro Serafini, docente di Farmacognosia presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, dal gennaio 2008 membro dell’EFSA Scientific Cooperation Working Group on Botanicals, il gruppo di esperti che ha lavorato alla stesura del compendio sulle piante contenenti principi attivi tossici.

Professor Serafini, il 1° maggio 2011 entrerà in vigore la direttiva 24/2004: cosa cambierà per gli erboristi?

Nulla, perché la norma in questione riguarda i medicinali vegetali tradizionali, un ambito estraneo alle competenze dell’erborista.
Per contro, è anche vero che oggi molti integratori alimentari sono impiegati come farmaci fitoterapici, ma questo è un discorso che esula comunque dall’erborista…

Qual è il valore di questa direttiva?

Quello di cominciare a mettere ordine nel campo e a definire cosa è un farmaco vegetale tradizionale. A oggi infatti c’è ancora molta confusione su questo.
Com’è noto, una medesima pianta può essere utilizzata come farmaco, o come integratore alimentare. È necessario stabilire con precisione quando ci si trovi di fronte a un farmaco e quando a un integratore alimentare.

Conseguentemente, il mondo degli integratori alimentari potrebbe subire qualche cambiamento?

È presto per dirlo. La Commissione Europea sta rivedendo tutto l’impianto relativo agli integratori alimentari, tanto che il decreto ministeriale inviato in visione alla CE è stato poi ritirato in attesa delle nuove indicazioni. A oggi, comunque, gli erboristi non hanno alcun motivo di preoccuparsi, ma solo di prestare attenzione agli sviluppi che ci possono essere.
Niente paura, l’entrata in vigore ormai
prossima della Direttiva europea 24/2004
sui Medicinali Vegetali Tradizionali
non avrà alcuna ricaduta sul settore
erboristico: almeno così sostengono
gli esperti a cui abbiamo chiesto
delucidazioni in merito alla norma che
nei mesi scorsi aveva scatenato grande
preoccupazione tra gli erboristi

3 commenti:

  1. Discutendo di prodotti a base di piante, di estratti o derivati vegetali noto che si tende a parlare solo di alimento, integratore e medicinale vegetale tradizionale.
    Sfugge il proliferare del “dispositivo medico formulato con piante medicinali”. Adesso le piante “guarirebbero” solo per azione meccanica dei loro polisaccaridi! I dispositivi italici poi sono quasi tutti di classe I (autocertificazione): ne ho trovato uno, ad esempio, che contiene Sodio Bicarbonato (come la Citrosodina, titolare A.I.C la Bayer) al quale non dovrebbe applicarsi la seguente normativa?
    Decreto lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 emendato col D. lgs. 25.01.2010, n.37 - Recepimento Direttiva 2007/47/CE – ALLEGATO IX - CRITERI DI CLASSIFICAZIONE - 4. Regole speciali - 4.1. Regola 13 – “Tutti i dispositivi che comprendono come parte integrante una sostanza la quale, qualora utilizzata separatamente, possa essere considerata un medicinale ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 e che possa avere un effetto sul corpo umano con un'azione accessoria a quella del dispositivo, rientrano nella classe III.”
    Vorrei ricordare che nel caso di classi superiori alla I il marchio CE è accompagnato da un numero di quattro cifre, intendendo che il DM è certificato da un Organismo Notificato (identificato dal numero corrispondente) che svolge i compiti di sorveglianza (accesso ai fini d’ispezione presso il fabbricante, “delle prove per accertarsi del buon funzionamento del sistema di qualità e della conformità della produzione ai requisiti applicabili della presente direttiva” – allegato VI D.Lgs. 46/1997 emendato col D. Lgs. 37/2010).
    Per finire riporto un passo dell'articolo sul mensile Fitoterapia33 dal titolo "Erbe, medicinali di serie C?" a firma del dott. Fabio Firenzuoli: "Quindi la distinzione non va fatta tra i medicinali, ai quali i fitoterapici appartengono, ma tra medicinali e non medicinali: è a quest'ultima categoria infatti che appartengono gli integratori così come i dispositivi medici, che sempre più spesso contengono erbe, e per i quali richiediamo la massima attenzione da parte delle Autorità regolatorie affinché, seppur utili in certi casi, non diventino facili stratagemmi per veicolare erbe come medicinali di serie B o di serie C."
    Ed un altro dal blog del prof. Renato Bruni http://meristemi.wordpress.com/2010/10/06/appelli-contrappelli-cappelli-e-cappellate/ "nel caso della Classe I è sufficiente un’autocertificazione, mentre per le altre classi è previsto un controllo *sulla fabbricazione e sulla sicurezza ma non sull’efficacia* da parte di un ente preposto.
    Diciamo che questa classe può diventare a breve lo stratagemma di mercato per abbinare il termine “medico” e non “alimentare” anche a prodotti di derivazione erboristica, senza dover necessariamente dimostrarne a priori l’efficacia secondo criteri medico-farmaceutici."

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  2. Per commercializzare un farmaco da banco il titolare deve ottenere l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Questo medicinale può essere prescritto dal medico per portarlo in detrazione del 19% allegando lo scontrino fiscale. Il farmaco da banco può essere oggetto di pubblicità presso il pubblico.
    Alla tv noto un proliferare di prodotti dichiarati “dispositivi medici”, spesso formulati con piante medicinali (sciroppi per la tosse, tavolette, gel e spray per il mal di gola, antiacidi per il bruciore e mal di stomaco, ecc.), che dovrebbero agire solo o prevalentemente per effetto meccanico/barriera. E questi godono degli stessi benefici dei farmaci da banco: detrazione, pubblicità, ecc. Il produttore (non farmaceutico) può commercializzare col marchio CE i dispositivi medici di classe I con una semplice autocertificazione, scansando anche le relative verifiche dell’AIFA sulla correttezza delle modalità di produzione oltre a non essere assoggettati alla sorveglianza di un organismo notificato e ad eludere la normativa europea relativa ai medicinali vegetali tradizionali.

    Come consumatore questo stratagemma non mi piace per niente.

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  3. Dispositivi medici: troppe anomalie.
    Impianti mammari Pip, filler antirughe pericolosi, protesi dell’anca “richiamate”, ecc. Nel mondo dei “dispositivi medici”, specie italiani, non c’è nessuno incaricato di valutarli ed approvarli sistematicamente! Nemmeno le organizzazioni autorizzate da ogni Stato membro dell’Unione europea, se è vero che l’Organismo Notificato avvertiva la ditta Pip del “controllo” con dieci giorni di preavviso! Negli States la FDA approva e controlla medicinali, dispositivi medici e alimenti dietro verifiche su basi scientifiche. Da noi c’è l’AIFA per i medicinali e l’EFSA (a livello europeo) per gli alimenti. A mio avviso le registrazioni presso il Ministero della Salute come “dispositivi medici” stanno diventando il refugium peccatorum anche per molti prodotti “erboristici” che già organismi di controllo italiani certificano da agricoltura biologica pur arrivando molte erbe dalla Cina. La mia opinione è che la diffusione di registrazioni come “dispositivo medico” diventi a breve lo stratagemma di mercato per abbinare il termine “medico” e non “alimentare” (integratore) anche a prodotti di derivazione erboristica, senza dover necessariamente dimostrarne a priori l’efficacia secondo criteri medico-farmaceutici: un ‘sistemino’ per aggirare i problemi legati all’iter di registrazione di un farmaco e al giro di vite che subiranno da parte dell’EFSA gli integratori alimentari. Almeno un paio di ditte risulta abbiano registrato sciroppi contro la tosse come “dispositivo medico CE” (anche società agricole, con tutte le loro agevolazioni fiscali e creditizie spettanti per il criterio della “prevalenza” nell’esercizio dell’attività connessa, dei prodotti ottenuti dal proprio fondo, bosco o allevamento rispetto a quelli acquisiti da terzi; per giunta lo Stato deve rimborsare il 19% del prezzo di questi “dispositivi”!): i farmaci contro la tosse non agiscono scendendo in gola, devono agire a livello dell'Apparato Respiratorio (vie aeree, polmoni). Uno sciroppo contro la tosse (uso orale) viene deglutito: il Sistema Digerente di ogni essere vivente ha il compito di introdurre, digerire ed assorbire i principi nutritivi contenuti negli alimenti eliminando i residui non digeribili al metabolismo sotto forma di feci. Uno sciroppo contro la tosse, a mio parere, non può essere considerato un dispositivo medico (art. 1 D.Lgs. 46/97).

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